Farieki è il mio personaggio nella campagna che sto giocando attualmente, da alcuni anni. Iniziando da livello 0, ragazzo quindicenne in un villaggio isolato e soffocantemente pacifico, viene travolto da accadimenti straordinari insieme ai suoi due amici d’infanzia, Mael “il Grosso” e Lester. Le fasi inziali dell’avventura fanno emergere la sua rara attitudine alla magia, ma è un mondo ostile, là fuori. I tre lasciano il villaggio dopo eventi drammatici, lasciando i genitori e tutto il loro mondo, e partendo con la sensazione che ci sia molto di più, e la voglia di scoprirlo.
Sono ora nella città di Grest, prima vera città mai vista. Mura di pietra, folla, corvi, tutto assurdamente meraviglioso. Scelgono una locanda per passare la notte, ma il luogo è la sera stessa oggetto di un attacco terroristico da parte di due folletti. Le creature si rivelano molto pericolose, imbevute di magia. Alla fine gli umani, tra cui anche i ragazzi, riescono a prevalere. Arrivano presto figure d’autorità della città, inquisitorie : c’è una guerra in corso contro i circoli dei druidi, e quest’ennesimo atto di violenza va indagato a fondo. E loro sono stranieri, quindi automaticamente sospetti.
Vengono interrogati superficialmente e poi divisi. Farieki, tradito dal lancio di incantesimi di fronte a tutti, viene condotto nel palazzo degli Alchimisti, figure di cui non sappiano quasi nulla, ma di un esponente dei quali abbiamo potuto scorgere fattezze senza dubbio pesantemente mutate.
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Sveglia in una celletta, spoglia. Tempo per studiare e risposare. Un giorno intero d’attesa, nulla. Durante la sera del secondo giorno un inserviente completamente rasato mi fa cenno, laconico, di seguirlo. Sono al primo piano di un palazzo, strette finestrelle scavate poco sotto al soffitto tradiscono il giorno che splende all’esterno.
Seguo l’uomo al piano terra, e poi ancora più giù: mi indica delle strette scale tagliate nella viva pietra e macchiate dall’umidità. Buio, mi porge una lanterna.
In fondo un varco, senza porta. Oltre, un colonnato sotterraneo. È come se un grande spiazzo, con un soffitto non più alto di due metri e mezzo, fosse riempito di cerchie e cerchie di tozze e ruvide colonne. Mi addentro titubante, ma senza paura. Vedo una folla di lucette simili alla mia, percepisco un insistente brusio. Sembrano parole pronunciate, ma nonostante la finezza del mio udito non riesco a discernere neanche un brandello di discorso. E’ una lingua a me straniera, scandita come da bocche non propriamente umane. Percepisco, nella penombra, una gran massa di figure umanoidi, di cui solo una piccola parte reca seco le piccole lanterne. Incappucciati: devono essere tutti alchimisti. Cappucci e cappucci, non riesco a penetrare con lo sguardo sotto ad alcuno di essi.
Decido di alzare la lanterna ad altezza del mio viso e farmi incontro ad una delle figure, simulando casualità per scorgerne i lineamenti. Quello che chiamerò uomo mi chiede subito cosa io voglia, gli spiego che sono il ragazzo dell’incidente, che sto cercando di “capirci qualcosa”. “Ah sei tu” – “è lui” “è lui” “eccolo” “è così” “è lui” – un brusio si distende come un’onda per tutta la cripta. Le basse volte a botte sono piene di echi che puntano verso di me.
La massa scura di persone si divide e prende forma, come se avesse un’unica senzienza. Forma una specie di corridoio, che punta verso il centro di questo grande spazio circolare sotterraneo. Seguo.
Il centro è sgombro di colonne, uno vuoto circolare di una decina di metri di diametro. L’aria è non meno viziata ed opprimente qui, ma almeno come spazi posso prendere un po’ di respiro.
Cinque scranni scavati in enormi pietroni segnano il perimetro. Altrettante figure incappucciate vi siedono, ed ho l’impressione che gli alchimisti che popolavano casualmente l’area si dispongano ordinatamente nei cinque settori da queste presiedute.
Comincia un dialogo di cui ricordo poco. Credevo che sarei stato interrogato sulle mie motivazioni in città, su quello che era successo alla locanda, sulla posizione di me e miei compagni nell’incidente, ma mi sbagliavo. Sono andati subito al sodo, come dando per già pacifiche molte cose. Parla con me quello che credo fosse lo stesso alchimista che è intervenuto alla locanda per la prima investigazione. Da come introduce la sua “confraternita” capisco come non ci sia una vera gerarchia fra loro e come siano tutti parte di uno stesso “organo” – e mai espressione si rivelerà più corretta .
Poco dopo, figure si sono staccate dalla massa di astanti ed hanno cominciato ad “analizzarmi”. Uno mi si è strusciato contro la faccia, passando sul mio viso una umida, larga, bitorzoluta estensione di carne, parlottando eccitato. Ho lasciato fare. Un altro mi ha scrutato con tentacoli oculari. Entrambi mormoravano fra loro stessi, commentando la mia composizione. Un altro, ed un altro. Ed ancora uno, che senza dire una parola mi si è posto davanti, le braccia conserte e le mani nascoste nelle maniche. Da non so dove è uscita un’appendice, il buio non mi permetteva di capirne le esatte fattezze, ma toccava e palpava, con dita troppo distanti fra loro per far parte di una mano umana. Mi si è avvinghiata attorno ad un braccio, con forza. Pur senza farmi male, la stretta era decisa, e la mia ansia cresceva. Ho lasciato ancora fare. Più che vere dita, ora sembravano i tentacoli prensili di quelle piovre di cui si narra nel mio bestiario. Strisciavano sotto le mie nuove vesti rosso mattone: avevo metà del torso ghermito. Mi son lasciato scappare un urlo stridulo e pauroso. Ho cercato di forzare quell’orrendo coso di carne lontano dal mio corpo, senza successo. Sempre più agitato, sia dalla stretta crescente che dalla possibile mossa sbagliata in questo contesto, ho pregato che la smettessero, che almeno mi spiegassero cosa volessero da me prima di sottopormi a tutto ciò. Ormai i tentacoli mi si distendevano verso il collo.
Per fortuna la mia preghiera è stata ascoltata. Il Primo Interlocutore, dallo scranno, ha chiesto suadente che la figura si ritirasse, e da un secondo scranno è partito un sibilo. La figura tentacolata si è rituffata nella massa alle mie spalle.
Imparo presto che il modo di ragionare dei membri di questa confraternita è distante ad alieno rispetto al mio, e a quello di qualunque essere umano io abbia fin’ora incontrato. Imbrigliato in schemi totalmente diversi, su percorsi imprevisti. Mi hanno chiesto cosa voglio da loro e cosa sono in grado di offrire. Ho risposto che non capivo, e non sapendo quali sono i loro scopi non sapevo come rispondere. Ma che cerco di espandere la mia conoscenza, e la loro congrega sembrava l’organizzazione più in linea con le mie attitudini che fin’ora avesi incontrato.
A questo punto interloquivo con più alchimisti; alcuni avevano un tono tra il neutro e il vagamente amichevole o accondiscendente, altri subdolo, insinuante, repulsivo, sgradevole. Ad ogni modo questa l’offerta : c’è bisogno di emissari che destino pochi sospetti e sopratutto “spendibili, sacrificabili, di nullo valore” per parlamentare con i circoli dei druidi. Per dei negoziati. L’obiettivo ultimo è raggiungere il loro cuore, il centro del loro potere, non ricordo se per infettarlo e distruggerlo, o per creare un corridoio d’accesso per altri dopo di noi. Ero troppo in soggezione e messo alla prova dalla situazione. Ad ogni modo il compito è assegnato sia a me che ai miei compagni. Mi è offerta in cambio la possibilità di far parte dell’Organo, a quanto ho capito. Mi è difficile interpretare i discorsi e le allusioni di queste… creature. Non sono del tutto persone, né nella mente né nel corpo. O almeno, io non riesco a definirle tali. Chiedo anche come devo considerarmi, se prigioniero, ospite… cosa. Tutte le luci si spengono, resto nel buio totale, conscio della presenza di tutto l’Organo intorno a me, perso in un labirinto dove a stento ho l’ossigeno necessario a pensare con chiarezza. “Non sei certo prigioniero, sei libero di andartene quando vuoi”, dice una voce tagliente nell’oscurità.
Comunico la mia volontà di accettare l’incarico. E d’altra parte la cosa non mi dispiace, ho voglia di vedere di più, sono curioso di incontrare i druidi dei circoli. Sarà pericolosissimo, specialmente portandosi dietro Lester, si capisce, ma ho capito da tempo che il mondo è un posto terribile e non posso dar spazio alla paura se voglio continuare a incidere il mio percorso.
Mi viene chiesto di scegliere un mio referente, e senza esitazione rispondo “Occhio”, ricordando che a questo epiteto, pronunciato dal sergente dei Cavalieri di Smeraldo, aveva risposto il più benevolo degli alchimisti che avevano compiuto le indagini dopo l’incidente della taverna. E’ con piacevole senso di chiusura del cerchio che osservo il mio interlocutore primo, il più autorevole in questa assemblea, alzarsi e farmi cenno di seguirlo.
La congrega si scioglie, e vengo condotto di nuovo al piano di sopra. Lasciando questo luogo e tornando al fresco posso notare con certezza che l’aria sotterranea non era semplicemente sotterranea. Era anche marcia, come ammorbata da carne putrescente e rifiuti.
Scambio qualche parola con Occhio sul mio ipotetico percorso, sulla mia cupidigia di potere, sul fatto che la conoscenza inevitabilmente muta il ricercatore. Sul (classico?) prezzo da pagare. E’ un conto che vedo chiaramente aperto nella mente di questi che un tempo furono uomini, ed ora potrei definire meglio come strumenti del sapere stesso. Il vino beve l’uomo, il vino beve il vino.
Continua in Diario di Farieki – XIII – La Biblioteca e lo Staff
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