Continuazione di Diario di Farieki – XIII – L’Iniziazione agli Alchimisti
Vengo condotto, attraverso corridoi e stanze, ad una pesante porta rinforzata. Dietro, un cavernoso androne immerso nella penombra. Uno spesso tanfo di chiuso mi investe, simile a quello del sotterraneo : chiuso e sporco, lo sporco sciatto di chi non (si) pulisce mai. File e file di scaffalature mi riempiono la vista, e scritti di ogni tipo, ovunque: pergamene, tavolette e codici, allineati, ammonticchiati, messi negli angoli, impilati, ordinati, sparpagliati. Ovunque. E sporcizia, rifiuti, detriti. E’ chiaro che la ricerca di sapere ossessiona e consuma i membri della congrega, li pervade e li rapisce al punto da far passare all’insignificanza le operazioni mondane di pulizia e nutrimento. Servitori rasati ed emaciati girovagano per lo stanzone principale e per le stanze laterali, scavate come a caso nella roccia, quasi che semplicemente si fosse ricavato dello spazio, nel momento in cui si era reso necessario, senza pianificazione e senz’arte.
Vengo lasciato qui. Posso stare quanto voglio, ma non meno di tre giorni. Non mi vengono date indicazioni ulteriori, non so quando o come sarò richiamato per il mio futuro compito, come non so dove siano un bagno, del cibo, dei giacigli. Parlando con gli inservienti, poco dopo, scopro che questi sono fortemente ritardati, non sanno nulla e sono quasi inutili nei panni di interlocutori umani. Decido di espletare le funzioni fisiologiche negli angoli, mangiare le mie razioni, e dormire abbracciato al mio zaino. E, nel frattempo, di studiare quanto più posso. Nonostante la miseria e la sensazione negativa, a conti fatti questo luogo è di maggior valore, per me, della torre di Rakir.
Lo squallore che mi circonda si rivela un ostacolo. Troppa oppressione, troppo poco contatto col tempo all’esterno che passa, aria troppo viziata, emanazione psicologica schiacciante ed alienante. Cerco di orientarmi nella moltitudine di scritti per trovare qualcosa che possa essermi utile, ma non riesco ad esser lucido. Sono confuso ed agitato dalla moltitudine e dal contesto. Passo i primi giorni senza riuscire ad essere produttivo a livello intellettuale. Riesco però, mio malgrado, a capire meglio la natura della coscienza e del fuoco interiore che morde questi Alchimsti. Decido infatti di rivolgermi al loro sapere per identificare le proprietà, magiche o no, di alcuni degli oggetti recuperati dalla antica casa di Acquavia in poi. Immaginavo che la mossa potesse essere vagamente azzardata, ma quale luogo migliore di questo per cercare conoscenza? E come avrebbe potuto la mia mente semplice immaginare tanta radicata malizia?
Il primo alchimista che fermo è un Occhio. Medio rango. Gli sottopongo le pergamene trovate nella casa antica. Due, quelle uguali, sono delle specie di lettere in cui si assegna un compito di protezione carovaniera. Sono antiche, molto antiche. I pronipoti di coloro a cui era stato affidato l’incarico sono morti da tempo, gli stessi regni dei quali si parla sono crollati, ed ora sono nient’altro che polvere nel salone della storia. La terza pergamena che gli sottopongo è quella fatta dello strano materiale simile ad alabastro arrotolato. L’alchimista la scalda sopra ad una lampada ad olio, e riesce ora a srotolarla con facilità. La esamina curioso, bramoso, su e giù, accuratamente. Potente. Troppo potente per me, mi dice, secondo lui non saprei cosa farmene. La vuole, “dammela”. Fa per prenderla. Lo fermo: non posso consegnarla, non appartiene solo a me, ma all’intero gruppo… dico. Insiste. Ed io altrettanto. Chiamo in causa il rispetto per gli ospiti : l’argomento non sembra neppure scalfirlo. Alla fine riesco a riprendere la pagina ormai rigidamente stesa, senza per altro scoprire cosa ci sia effettivamente iscritto, ma lo studioso se ne va con una leggera minaccia : gli è piaciuta, la pergamena, era bella. Ed ora l’Occhio sa che esiste, ed è acuita la sua brama.
Ma vattene affanculo.
Indomito, ci riprovo il giorno seguente, con un Gusto. Scena simile. Gli offro una delle sette sfere di vetro pesante e scuro. La lecca e la rilecca, analizzandola. Potente. Dice che il processo per analizzarla è costoso, molto costoso. Gli chiedo quanto costoso. 700mo. Naturalmente rifiuto. L’alchimista allora mi offre 700mo in cambio dell’oggetto. Titubo di fronte alla cifra da capogiro.. ma tutto sommato l’oro ha meno significato per me di un oggetto di potere, e rifiuto ancora. Nuova minaccia dal vecchio copione: il Gusto ora sa, l’oggetto gli è piaciuto e lo vuole, e vaffanculo pure tu.
E’ ora la terza notte, credo. Cerco di dormire, di scaricare la mente ed ignorare la mia igiene e le mia biologia in netto declino. Accade: mi sveglio di soprassalto tormentato da un dolore lancinante al costato. Mi alzo in preda al panico, appesantito da qualcosa aggrappato a me: un ratto, un ratto di grosse dimensioni. Si è fatto strada nello zaino, probabilmente attirato dalle razioni di cibo, e dopo le razioni ha trovato la mia carne. Incespico, grido in cerca d’aiuto, cerco di muovermi verso un valletto, ma sono troppo debole. La bestia mi morde ancora, ed il dolore mi fa perdere i sensi…
-.-.-.-.-.-
Mi ritrovo in una celletta del tutto simile a quella in cui avevo atteso qualche giorno prima. Ho l’impressione, però, che non sia la stessa. Sono mummificato in bende, le braccia libere ma troppo deboli per sciogliere le spire che mi stringono, le gambe fasciate insieme, senza possibilità di movimento. Un torpore dolciastro si irradia da dei bozzi rigonfi che trovo tastoni sotto le fasciature. La situazione è tremendamente disagevole, ma non ho nemmeno la forza di andare in panico. La giornata passa tra il sonno e la veglia, una specie di inquietante sogno protratto, e cala nuovamente il buio.
Il giorno dopo le mie forze sono un poco maggiori, e riesco finalmente a liberarmi di parte delle fasciature. Non c’è traccia dei miei vestiti. Uno degli inservienti pelati e lobotomizzati entra in stanza. Gli chiedo dei miei vestiti, dove sono, dov’è la mia stanza, dov’è la mia roba. E’ inutile. Dice che non dovrei muovermi, per non intralciare la guarigione. Sono in parte sollevato dall’apprendere che sono loro, i valletti, ad avermi trovato e guarito. Non mi piace l’idea di essere stato inconscio nelle mani degli alchimisti. Anche se nulla mi garantisce che qualcuno non mi abbia comunque fatto visita.
Mi alzo, ma il valletto mi dice di restare a letto, nuovamente. Faccio cenno d’assenso, ed appena esce mi rialzo e lo seguo. Sta andando a prendere i miei vestiti, dice. Lo seguo per il palazzo, senza incontrare nessuno, fino ad un’area metà civile, in cui incontro personale “normale”. Addetti alle cucine. In una stanza laterale il valletto si ferma; pregusto già il ritrovamento del mio libro presupponendo che la mia roba sia insieme ai vestiti. Sono frustrato, ma rido dell’ironia, allorchè il brillante inserviente mi allunga un fagottino nero da una pila di fagottini neri : una tunica da alchimista. I miei vestiti. Maledetto idiota. Riesco a capire che probabilmente la mia roba è dove l’ho lasciata, in biblioteca. O forse me ne convinco nella speranza. Gli chiedo dove sia la biblioteca : “di là”. Di là è un corridoio, che non porta ovviamente alla biblioteca, dev’essere la semplice direzione.
Cerco un alchimista. Trovo un Olfatto, che gentilmente mi riaccompagna alla mia destinazione. A quanto pare, diversamente da quanto pensassi, non c’è molta coscienza di quello che succede all’interno del palazzo da parte dei suoi abitanti. O forse sono io insignificante per loro, ma trovo comunque la cosa positiva. Quest’Olfatto non sapeva nulla di quanto mi fosse successo, a mala pena sapeva chi fossi. E’ probabile che le menti dei membri di questa congrega siano sempre molto assorbite nei loro percorsi così astrusi, che per così dire si perdano facilmente nei propri stessi meandri.
Mi reco in fretta nel punto in cui dormivo quando mi ha aggredito il ratto. C’è tutta la mia roba. I vestiti sono bucati e malmessi. Lo zaino è rovinato. Non ho più razioni. Il resto è tutto intatto, ma mancano due oggetti. Due oggetti. Una delle sfere di vetro scuro. E lo Staff che avevo trovato nella casa antica fuori da Acquavia. Chiedo all’Olfatto che è qui con me se l’ha visto. Dice di no, ma ora ho stimolato la sua curiosità e andrà a cercarlo. Gli chiedo, già immaginando la risposta, se lo cerca per poi riportarmelo, in quanto mio. Immaginavo bene.
Lo Staff. Una delle sfere.
Colgo la mia mente, sviluppatasi e cresciuta in campagna, fra le rocce e l’acqua, l’erba, gli animali, la vita semplice… colgo la mia mente, in questo buco marcio popolato da avidi, minacciosi involucri perversi d’uomo, colgo la mia mente pensare che forse tutto sommato i druidi hanno ragione.
Forse. Aspetto di incontrarli, conoscerli, per capire cosa penso. Ma la trama, in questo preciso istante di furto e perdita, s’è appena infittita.
E’ forse questo sentimento nuovo a darmi energia, chiarezza, focus. Passo altri tre giorni immerso nello studio, questa volta in modo molto proficuo. Cerco di perfezionare la mia tecnica e la mia comprensione della magia di fuoco, ed imparo moltissime finezze che l’uso spontaneo non mi avrebbe insegnato che in gran tempo. Memore dell’esperienza precedente, cerco di andare a dormire sempre nei pressi di uno dei lobotomizzati, possibilmente che sembri indaffarato in compiti lunghi, come riordinare una scaffalatura di quindici metri di lunghezza o una pila di rotoli alta come il sottoscritto.
Al primo sonno accade comunque qualcosa di increscioso : mi sveglio nel cuore del riposo (dato che ormai giorno e notte hanno perso di significato) con un senso di inquietudine. Niente e nessuno intorno a me. Rovisto in quel che resta del mio zaino, controllando che sia tutto a posto. Non manca nulla. Ad una più attenta ispezione, però, noto con orrore che il mio libro degli incantesimi è bucato. Un buco sulla copertina frontale, scavato, eroso.
Apro in preda al panico, varie pagine sono intaccate. Nel foro, un piccolo orribile verme dalla testa nera lucida. Lo pugnalo con sadica lentezza, e ne estraggo i resti. Nessun carattere è stato intaccato dalla sua azione, fortunatamente. Porto la larva agli inservienti, chiedendo se siano a conoscenza della sua natura. Sono molto, molto preoccupati : è un verme dei libri. E’ loro compito trovarli e distruggerli, immediatamente, prima che facciano un danno qualunque. Sono tutti molto in ansia riguardo al fatto che gli alchimisti vengano a sapere dell’accaduto. Ormai conosco le regole del gioco : baratto il mio silenzio con una vigilanza costante sul mio sonno futuro. Sono libero di studiare e riposare tranquillo, d’ora in poi.
Sicuramente scottato dall’esperienza dei giorni precedenti, focalizzo la mia ricerca su un incantesimo o dispositivo che mi consenta di analizzare le proprietà magiche degli oggetti che incontrerò in futuro sulla mia strada. Nonostante ormai sia abituato al luogo e mi senta anche le spalle coperte dalla protezione degli inservienti, non riesco nel mio intento, e non trovo assolutamente nulla che mi possa essere utile.
Sono passati almeno dieci giorni dall’incidente della taverna, forse di più considerando che sono stato privo di sensi per un tempo indefinito. Comincio a chiedermi che fine abbiano fatto i miei amici.
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